Articolo di Maria
Silvestrini
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si deve al regista Salvatore Tomai, da anni impegnato in teatro ed in televisione, che già nel lavoro “Lettere dalla prigionia” aveva approfondito la figura e l’opera di Aldo Moro.
E’ questo il primo di una serie di incontri che il Comitato per le celebrazioni del centenario sta
A Taranto la famiglia Moro si trasferì nel 1923 quando Aldo aveva appena 7 anni, e vi rimase fino al 1934. 12 anni in cui il ragazzo crebbe e si formò fra il Liceo Archita e il gruppo di ragazzi del “Circolo San Francesco d’Assisi”. Furono anni di studio e di crescita umana e spirituale in cui il giovane Aldo si fece subito notare per le sue capacità di riflessione e di dialogo, tanto che l’Arcivescovo Orazio Manzella gli affidò il delicato incarico di formatore dei giovanissimi aspiranti della Gioventù cattolica.
Nel presentare l’evento Fra Francesco Zecca, padre guardiano del convento, ha voluto sottolineare la capacità di Aldo Moro di essere mediatore, uomo di dialogo, inclusivo e collaborativo. Un costruttore di comunità che in San Francesco contemplava la gioiosa fraternità cosmica e da questa si faceva guidare per vivere la mitezza e la giustizia. La sua spiritualità, la capacità di trovare nei testi sacri il senso profondo delle sue azioni ne fa prima che uno statista, un uomo di Dio.
Il reading, diviso in cinque quadri, ha messo in evidenza “la spontaneità e l’entusiasmo di una scelta, più che politica, religiosa …” e la semplicità di una vita in cui la consapevolezza dei valori e la necessità di compiere quotidianamente e con coscienza il proprio dovere, era la normalità per un uomo che fino in fondo è stato consapevole della dignità e dell’importanza della politica. Per tutto questo oggi possiamo definire Aldo Moro un cristiano costruttore di comunità e un martire per la democrazia.
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